Twisa Tunisi

Twiza. Medina, Tunisi.
Twiza è un centro culturale situato nel centro di Tunisi, nella Medina, la città vecchia. Twiza é un collettivo di persone provenienti da vari paesi europei e africani nato
per coinvolgere la città. Twiza è una parola di origine berbera che indica l'atto di lavorare insieme e condividere. Twiza è una casa. Ora a Twiza ho passato una
settimana, in questa casa vivono 6 uomini.Provengono da Sudan Nigeria e Kenia. Il più giovane ha 30 anni il più vecchio ne ha 63. Mentre dipingevo i muri sulla strada,
incontravo persone e passanti che all'uso arabo chiedevano Allah di benedirmi per quello che stavo facendo.Le strade della medina sono molto popolate e vissute. Se
fossi rimasto qualche settimana in più avrei azzerato le maledizioni che ho raccimolato in europa e mi potrei fare musulmano. Gli africani che abitano a Twiza sono
ospiti. Bella parola. ospite, a volte la confondo con ostaggio. Tutti loro vengono dalla Libia dove studiavano o lavoravano. Deposto Gheddafi il paese cade nel caos.
Bande e micro poteri si fanno la guerra. L'Onu dice che ci vuole di fare qualcosa. Bombarda, mette un governo debole costruisce campi per i rifugiati non Libici che sono
costretti a scappare dalla Libia. Chucha lo chiamano. Lo costruiscono nel deserto della Tunisia, con il classico stile adatto allo scopo Chucha è una baraccopoli di tende
senza acqua nel mezzo del niente dove persone che avevano una vita, che studiavano o lavoravano, devono aspettare che la politica decida per loro. Le nazioni unite
si impegnano a affrontare i casi dei rifugiati. In un paio di giorni due addetti ascoltano qualche decina di migliaia di persone che parlano forse decine di altre lingue
diverse e rilasciano qualche foglio a qualcuno dove si dichiara che il soggetto può andare in Europa. Il resto ciao. Si dimenticano e non ne vogliono sentire parlare. La
Tunisia non affronta neanche il problema di avere nel proprio territorio qualche migliaio di umani senza documenti e senza soldi che bevono acqua salata in mezzo al
deserto. A un certo punto decide anche di ricacciarli in Libia. Papà Onu fa un colpo di tosse e gli umani vengono riportati nel deserto. Nel frattempo qualcuno scappa
qualcuno si sposa qualcuno impazzisce. Ma niente il campo esiste dal 2011 e tuttora sono ancora lì ad aspettare. L'unica cosa che possono fare è tornare al proprio
paese, ma c'è gente che non può farlo. Quindi dal 2011 sono bloccati. Quando arrivo a Twiza, al mattino Osrami mi viene ad aprire la porta, è quello che dorme più
vicino all'ingresso, mi sorride e mi dice salam e una serie di parole di benvenuto. Vedo solo i suoi occhi vivi e i suoi denti rimasti vivi. Mi porge la mano. Mi basta per
sentirmi a casa. Stiamo attenti a non fare cadere i colori che lascio all'ingresso. Metto sul tavolo le arance e il pane, i datteri, immancabilmente qualche verdura. Preparo
i colori di fuori, la stecca la esco sempre per ultima. Un buon proletario non si fa rubare la bicicletta mi ripeto. Non so da dove mi è venuta sta frase. Gli altri si svegliano e
ci salutiamo. Buongiorno, goodmorning, salam aleicum. Colazione insieme. The. L'acqua del rubinetto. Confesso ai ragazzi di venire da un paese dove l'acqua è
diversa, per favore bollitela bene, non ho il vostro fegato. Accolgono la mia richiesta senza dire una parola. Lo sanno, Hibrahim, non può camminare, dopo un po' di
tempo a Chucha non riusciva più a pisciare, le condizioni dell'acqua gli avevano provocato un infezione da qualche parte dentro di lui che si è espansa alla spina
dorsale e ora non sente più una gamba e non può camminare. Sta tutto il giorno a letto e prega. Quando il sole filtra nella via battendo sulla facciata guardo contento il
colore asciugarsi in fretta e guarire il mio disegno fatto su pareti piene di infiltrazioni d'acqua. Fumo una sigaretta con la faccia rivolta al sole e invito Hibrahim a sedersi
sulla soglia. Con difficoltà accetta la fatica di farsi portare dalla sua stanza fino all'entrata a godersi l'evento. Gli altri vorrebbero lasciare Twiza e Tunisi e tornarsene nel
deserto o nei propri paesi d'origine dove dicono di poter fare di più per se stessi, ma rimangono vicino al loro fratello Hibrahim, fino a quando la sua richiesta fatta
all'ambasciata per il rimpatrio in Sudan non sarà accolta. Il primo giorno non ero pronto a bere il the a colazione, e neanche a mangiare insieme a loro. Dovevo agire da
me, lasciare che il tempo disegnasse la mia e la loro immagine in un contesto già esistente, e entrare poi a far parte di una piccola comunità fatta di riti quotidiani
semplici, che designano l'appartenenza a un luogo umano e costruiscono una collettività.
Il secondo giorno Hoffman, mi obbligò a bere il the con le buone o con le cattive, con un sorriso la cui sincerità non conosce resistenze e fui accolto nella famiglia. Poi
procedevo nel lavoro sul muro, venivano a guardare e mi chiesero di aiutarmi, cosa difficile visto che non avevo idea di cosa fare e procedevo attaccando pezzi uno
vicino all'altro, a prendere la giacca di un passante, il velo di un altro, il colore che avevo già aperto e quello che dovevo preparare. Il vicinato mi salutava, e mi faceva
capire che assistere alla realizzazione del dipinto era una cosa che non gli era mai successa e senza accorgersene già ne faceva parte.E io facevo parte della medina.
uhallah. salam , salam, bonjour, escusse moi vous parlez francaises? je suis pas arab. cest bien. merci aiscek. grazie. chi aveva vissuto in italia, chi parlava di roma
napoli milano verona palermo,anche saronno. il calcio. no non ci capisco niente. berlusconi merda, lega merda. tutti amici. un caffè. Passavano i facchini che portano le
merci al mercato, La medina è una specie di mercato unico, come mi hanno detto che erano pure le nostre città europee, prima dell'arrivo dell'autocolonialismo dei
supermercati. carrefour merda. Quindi è tutto un via vai di gente che fa robe e urla e si passa sempre per le stesse strade dove si conoscono tutti e tra i motorini che qui
non hanno bisogno di targa passano i facchini e i furgoni che portano la merce, scortati da una moto di polizia, la mafia locale, a cui devi pagare il pizzo per portare la
merce. arrivano a 80 all'ora in stradine di due metri con il mitra e la giacca antiproiettile, mi si sbarrano davanti e arriva dietro un furgone scassato che non investe tutto
quello che è sulla sua strada per questioni di centimetri. ne scendono un gruppo di ragazzini a mo di soldati che stanno per fare un assalto, nel giro di pochi minuti
scaricano i pacchi e li legano sulla carriola e partono per le vie circostanti. uha lla lal hah a r ah k! qualcuno cade si scontrano i carrelli, i piloti litigano. tutta la via è
bloccata e i due agenti fanno finta che non succeda niente. Per me è come a teatro. La sera il vicino appende una lampada e illumina il muro, posso continuare fino alle
nove o le dieci. I ragazzi mi chiamano per la cena. Sempre la stessa: bankù , una sorta di polenta ottenuta facendo bollire l'acqua e buttandoci la farina e girando fino a
ottenere una pasta consistente, e zuppa piccante con una sarda a testa. Ottima. The. Sigarette. I discorsi con la famiglia scaturiscono immagini, non mi hanno aiutato
manualmente ma i concetti che ascoltavo da loro sono finiti nel disegno. Osrami mi dice che i potenti sono quelli salgono sulla scala, ci portano i familiari e una volta
sopra tirano via la scala. Bright dice che ci sono singole persone che accendono un fuoco il cui fumo affumica migliaia di persone. Una sera Osrami mi racconta tutta la
storia del Sudan, con Hoffman che fa da traduttore. Non si vuole fermare e racconta dettagli di presiedenti e stati che nel giro di cinquant'anni hanno cambiato
conformazione come le dune di sabbia. Gli chiedo come fa a sapere queste cose mi dice che suo padre è stato soldato e di non credere alla storia di quelli in giacca e
cravatta. La storia non l'ha finita, il mio traduttore non capiva più niente.















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